Asilo nido in appartamento, occhio al regolamento condominiale
La Corte Suprema ha respinto il ricorso presentato dalla cooperativa esercente l’attività di asilo nido all’interno di un condominio, condannandola alla cessazione immediata dell’esercizio e al pagamento delle spese di giudizio.
Il proprietario di un appartamento ha citato in giudizio il proprio condominio in quanto, a seguito di un'assemblea condominiale ed in base al regolamento condominiale, gli era stato fatto divieto di destinare il proprio appartamento ad uso di asilo nido.
Il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta del proprietario e intimato alla cooperativa che gestiva l'asilo nido i cessare immediatamente la sua attività poiché esercitata con modalità in violazione con quanto previsto dal regolamento condominiale.
La sentenza è stata poi confermata anche dalla Corte d'Appello di Roma, richiamando il regolamento condominiale ma riconoscendo la necessità di accertare in concreto la rumorosità dell'asilo nido.
A tal fine un c.t.u. aveva evidenziato che le propagazioni provenienti dall’asilo nido superavano i limiti di normale tollerabilità in due degli appartamenti esaminati.
La cooperativa, successivamente, ha impugnato la sentenza portandola in Cassazione, rilevando una errata interpretazione, da parte della Corte d’appello, di una clausola contenuta nel regolamento condominiale, ove si vieta un uso degli appartamenti “contrario alla tranquillità dell’intero fabbricato”. Deduceva che, dal momento che la c.t.u. svolta in primo grado aveva accertato che l’attività eccedeva i limiti di normale tollerabilità soltanto per due condomini su ventisei, l’ordine di cessazione dell’esercizio risultava da una scorretta interpretazione del senso complessivo degli atti.
La società cooperativa denunciava poi “l’insufficiente, l’omessa ovvero la contraddittoria motivazione” e “l’omessa e insufficiente valutazione delle prove” in sede di giudizio, concludendo che l’attività di asilo nido non fosse di per sé rumorosa e che, invero, occorresse verificare le concrete modalità di esercizio “onde accertarne la effettiva rumorosità”.
La Cassazione ha respinto ogni critica di valutazione e confermato quanto stabilito dalla Corte d'Appello.
Vediamo ora quali sono stati i criteri legali intervenuti in base al Codice Civile
Fra le disposizioni volte a disciplinare il godimento della proprietà, il Codice Civile interviene anche a regolare l’insorgere di probabili conflitti fra proprietari confinanti. Obiettivo della legge è infatti quello di porre dei limiti alle facoltà del proprietario, allo scopo di soddisfare le sue esigenze senza interferire con il godimento dell’altro.
In particolare, l’articolo 844 interviene a disciplinare i fenomeni di immissione, fra i quali vanno comprese non solo le esalazioni di fumo e di altre sostanze inquinanti, ma anche le propagazioni di calore, i rumori e le vibrazioni provenienti dalla proprietà del vicino.
In base a quanto stabilito dal Codice Civile, il criterio legale per la risoluzione dei conflitti sorti in materia di immissioni è quello della normale tollerabilità: non è possibile impedire le immissioni e le propagazioni provenienti dalla proprietà confinante, a patto che esse non superino la soglia oltre la quale risultano insostenibili per l’uomo di media tolleranza.
La normale tollerabilità, tuttavia, non può tenere conto soltanto del grado di intensità delle immissioni, ma deve anche avere riguardo alla condizione dei luoghi, al fine di contemperare le esigenze delle eventuali attività produttive presenti sul fondo con le ragioni della proprietà del vicino. Dal momento che in tal senso il criterio di legge rimane però generico, sia l’ambito di operatività della norma, sia le sue pratiche applicazioni vanno rimesse al prudente apprezzamento del giudice.
In caso di immissioni intollerabili illecite, al danneggiato viene concessa una duplice tutela: una di tipo inibitorio, finalizzata alla cessazione dell’attività lesiva e/o all’eliminazione della fonte delle immissioni, e una tutela risarcitoria, volta a compensare il danno personale secondo quanto previsto dall’articolo 2043 del Codice Civile.